Intervista a Fabio Gambaro per i dieci anni di Italissimo
Autore: Federica Malinverno, newitalianbooks

Com’ è cambiato Italissimo nel corso di queste dieci edizioni?
Dal 2016 il festival è cresciuto molto. Lo dicono i numeri: da una decina di eventi in due luoghi a una quarantina di eventi in una quindicina di luoghi diversi, da tre o quattro invitati a una quarantina di invitati. Il festival si è esteso e ha una dimensione che dieci anni fa non aveva. Se all’inizio era una scommessa, oggi direi che la scommessa è vinta.
Rispetto alle primissime edizioni, poi, è cambiata la formula. All’inizio abbiamo adottato la formula del festival con un ospite d’onore, prima Baricco e poi Saviano, sul modello di Dedica di Pordenone, che è un festival che invita un unico autore e costruendogli attorno una serie di eventi.
Oggi la formula si è evoluta secondo un modello più tradizionale. Invitiamo autori e autrici che vengono dall’Italia e li facciamo dialogare con scrittori e scrittrici francesi, secondo l’idea principale del festival, che è quella di presentare la letteratura italiana in una sorta di dialogo con quella francese.
Alcuni elementi però sono rimasti invariati: l’apertura a Sciences Po, con un dialogo tra una voce della letteratura italiana, quest’anno Silvia Avallone, e una francese; la centralità della Maison de la Poésie, che ospita una dozzina di eventi, poiché il festival è per noi un luogo di dibattito, ma anche di spettacolarizzazione della letteratura.
Un’altra costante del festival, infine, è quella di invitare autori con una notorietà di critica o di pubblico in Francia (come Marco Lodoli o Emanuele Trevi) e voci nuove (quest’anno ad esempio Greta Olivo, Alessandra Carati, Monica Acito, Francesca Giannone).
Ci sono stati dei momenti cerniera nella storia del festival? Dei momenti più significativi che hanno determinato delle sfide particolari?
Sottolineerei il biennio che ha accompagnato Italia Ospite d’Onore al Festival du Livre de Paris (2022-2023), che è stato un momento di grande interesse editoriale per la letteratura italiana, e l’anno della pandemia, un anno come per tutti anomalo, che ci ha insegnato molte cose, ad esempio a servirci delle tecnologie digitali per organizzare eventi a distanza.
Come vede il futuro del festival?
Il festival non continuerà a crescere, anzi, vorrei farlo un po’ dimagrire negli anni prossimi. Se il festival cresce, devono crescere anche i finanziamenti, che per noi sono robusti, visto che quasi tutti i nostri invitati vengono dall’Italia e che, per una questione di professionalismo, non abbiamo volontari, ma paghiamo ogni interprete, animatore, collaboratore.
Cosa significa lavorare alla costruzione del programma di un festival come Italissimo?
Significa innanzitutto dover dire dei no agni anno, perché possiamo invitare un numero limitato di autori. Il compito principale del direttore del festival è infatti quello di fare delle cose in funzione dei propri mezzi, logistici e finanziari.
La costruzione di un programma, inoltre, è un’operazione lunga e complessa, anche perché gli interlocutori sono molteplici: non solo l’editore italiano, quello francese e l’autore, ma anche gli agenti, che sono sempre più presenti nel mondo editoriale italiano.
Quanto ai criteri su cui ci basiamo, oltre a presentare autori e autrici note e meno note e a lavorare con diverse case editrici, cerchiamo di presentare autori che per noi sono di qualità, ovvero autori che riteniamo interessanti, stimolanti, originali, ciascuno nel proprio ambito e genere. Sempre tenendo conto di quello che è pubblicato in Francia.
A volte, inoltre, pur essendo un festival di letteratura contemporanea, facciamo qualche eccezione, sempre in nome della qualità: ad esempio l’anno scorso abbiamo presentato la traduzione di un testo uscito per la prima volta nel 1975, Horcynus Orca (di Stefano D’Arrigo, tradotto da Monique Baccelli et Antonio Werli per Le Nouvel Attila, 2023). Infine, abbiamo anche tenuto degli autori a battesimo, come Giuliano Da Empoli, cha abbiamo già invitato e torna quest’anno.
Se, come diceva all’inizio, il festival è cresciuto, significa che è cresciuto l’interesse per la letteratura italiana in Francia?
Sì, l’interesse globale è cresciuto. Noi lo abbiamo accompagnato e forse anche un po’ stimolato. In effetti con il tempo gli editori si sono resi conto dell’importanza del palco di Italissimo e ora ci chiedono di invitare i loro autori. Come detto, per noi è fondamentale collaborare con tutti gli editori, dagli editori storici come Gallimard, Liana Levi, Albin Michel, a quelli più piccoli che da poco si sono aperti alla letteratura italiana. E questo secondo la caratteristica di fondo di Italissimo: presentare degli autori i cui libri sono tradotti in francese.
Se si osserva l’insieme degli autori e autrici invitate al festival nel corso degli anni si può ottenere un ritratto della letteratura italiana tradotta in Francia?
Sì, direi che siamo una bella fotografia di questo settore, se si considera che nella storia di Italissimo abbiamo invitato circa 300 autori, alcuni anche più volte, sempre in relazione alle traduzioni dei loro libri in Francia. Di conseguenza, alcune tendenze della letteratura italiana tradotta in Francia si riflettono nella storia degli autori che abbiamo invitato nel tempo. E tra queste tendenze, sottolineerei in primo luogo il numero crescente di autrici donne tradotte, che riflette la maggiore attenzione per queste stesse autrici in Italia. Inoltre, a partire dal successo di Elena Ferrante, l’interesse per le storie di emancipazione femminile, spesso proiettate sullo sfondo della storia italiana, non si è ancora estinto. Anche l’interesse per il thriller in senso lato è cresciuto, e sono molto apprezzati i romanzi storici, soprattutto ambientati tra l’Ottocento e il Novecento.
Il successo del festival rispecchia più in generale il successo dei festival letterari in questi ultimi anni?
Penso di sì. La letteratura non è più solo un’attività solitaria e individuale, ma è diventata un rito collettivo, e i lettori hanno bisogno di vedere gli autori e di trovarsi tra di loro. I festival permettono di creare la comunità dei lettori e metterla in relazione con gli autori. Inoltre, il nostro festival si chiama Festival de littérature et culture italiennes : il focus è la letteratura ma abbiamo anche una sezione cinema, facciamo degli spettacoli e delle letture. Sulla musica mi piacerebbe fare di più, ma ci sono alcune difficoltà economiche e logistiche.
Negli ultimi anni Italissimo si è svolto anche a Lyon: portare il festival fuori Parigi è uno dei vostri obiettivi per il futuro?
Da quattro anni a questa parte abbiamo creato uno spin off del Festival a Lyon, grazie anche alla collaborazione con l’Istituto di Cultura. Si tratta di una forma più ridotta (dura circa un weekend e si svolge in autunno), ma che sta prendendo piede. All’inizio, in effetti, pensavamo di portare in giro Italissimo per la Francia e di fare ogni anno un’edizione in una città diversa. Oltre alle difficoltà logistiche e relative ai finanziamenti, abbiamo però constatato che ci vuole del tempo per far crescere una manifestazione, perché il pubblico si affezioni, e che quindi era difficile fare ogni anno il festival in un luogo diverso. Ma non ci precludiamo, nel futuro, di poter collaborare con altre città, qualora ci fosse occasione.
